Di questo grande vaso, utilizzato durante il simposio per miscelare il vino con l’acqua, si conservano sette frammenti della spalla e di parte dell’orlo, ricomposti e integrati nel 1999. Già in antico era stato sottoposto a un restauro, come indica la presenza di un foro per l’inserimento di una grappa di bronzo al di sotto della spalla. Il profilo del corpo, sferico, privo di piede e pressoché interamente rivestito di vernice nera, è stato ipotizzato sulla base di esemplari integri. La decorazione esterna della spalla prevede due fasce nere separate da un filetto a risparmio e, al di sotto della seconda e più stretta fascia, un’altra fascia risparmiata e distinta in basso da un filetto in paonazzo; in essa, entro gusci, si alternano linguette in nero e in paonazzo accuratamente delineate. La vernice nera esterna è compatta, lucente e stesa in maniera uniforme, mentre all’interno, al di sotto del collo risparmiato, la parete è verniciata di nero in modo irregolare, a partire da una linea ondulata che imitava la superficie del mare e che è posta in corrispondenza del livello a cui arrivava il vino quando il vaso era pieno.
Perfettamente centrate sulla spalla, sui lati opposti del dinos, sono due iscrizioni, incise dopo la realizzazione del vaso (o secondo alcuni dopo la cottura) entro la fascia in vernice nera compresa tra il filetto a risparmio e il fregio con linguette, forse su specifica richiesta dell’acquirente. La prima iscrizione, in alfabeto attico, reca la firma del grande ceramista (Exekìas m’epòiese) e si tratta dell’unico caso certo di una firma di Exekias realizzata a incisione e non dipinta. La seconda, in alfabeto sicionio, informa invece che il vaso fu donato da Epainetos a Charop(o)s (Epàinetos m’èdoken Charopoi), anche se non manca chi ha suggerito di riconoscere in Charops/Charopos non il nome proprio del destinatario, ma l’epiteto con cui Eracle era venerato in Beozia nel santuario di Zeus Laphystion: Charops (dagli occhi luminosi)
La decorazione figurata, che negli esemplari attici a figure nere si sviluppava sull’imboccatura del vaso e all’interno di essa, in questo dinos è conservata solo nella parte interna, ove si dispiega un fregio miniaturistico che doveva comprendere sei navi da guerra (se ne distinguono 5: due intere e tre in parte), che procedono sul mare, rappresentato dalla superficie ondulata della vernice nera, in modo tale da sembrare naviganti sulle onde quando, durante il simposio, il vaso era pieno di vino tagliato con acqua. Le navi, verosimilmente pentecontere, ossia provviste di una schiera di 50 rematori, dei quali sono delineate le sagome tondeggianti delle teste, in numero variabile da 19 a 21, ma sempre inferiore ai 25 remi della visione laterale, hanno una prua configurata a testa di cinghiale, al di sopra della quale si eleva uno schermo protettivo per gli arcieri. Al centro della tolda si erge l’albero maestro; le linee nere oblique sono state interpretate come lance o, preferibilmente, come gomene e rinforzi dell’albero verticale (sartie), la cui posizione sembrerebbe indicare un’andatura delle navi a vele spiegate. A poppa si distingue il timoniere che manovra i due remi di governo. Delineando il fregio di navi all’interno dell’imboccatura del dinos contenente il vino del simposio Exekias ha mirabilmente tradotto in termini pittorici la ricorrente formula del “mare color del vino” (òinops pòntos), con la quale nei poemi omerici il colore scuro del Mare Egeo è equiparato a quello dell’inebriante bevanda. Lo stesso scafo è sovradipinto con una linea ondulata in paonazzo e in ciò si è voluto scorgere un richiamo a un’altra formula omerica, quella delle navi “dai fianchi di porpora”. Come ha illustrato François Lissarrague, nella cultura greca anche altre metafore sviluppate nella sfera simposiaca riconducono di preferenza al mare e alla navigazione, assimilando i simposiasti a un equipaggio che naviga verso luoghi beati, un frammento di una coppa spezzata a un frammento del naufragio dei convitati, gli effetti di un eccessivo consumo della bevanda a una tempesta.
Exekias, trattando il contenuto del vaso, cioè il vino, come una superficie marina nella quale le navi si specchiano, ha trasformato la metafora in realtà e sotto gli occhi dei bevitori la formula omerica diventa un’immagine viva.
Nel 2019, con il contributo del Museo di Archeologia dell’Università di Zurigo, è stato realizzato un innovativo supporto integrativo in stampa 3D che riproduce l’ampia parte mancante del vaso e che rende molto meglio apprezzabili forma e funzione del vaso nonché l’originalità disegnativa del grande ceramografo ateniese.
Il nuovo allestimento è stato inaugurato e presentato al pubblico il 9 gennaio 2020.
P. Mingazzini, Vasi della Collezione Castellani, Roma 1930, pp. 212-215, n. 446.
François Lissarrague, Un flot d’images. Une esthétique du banquet grec, Ed. Adam Biro, Paris 1987 [trad. it. (M.P. Guidobaldi), L’immaginario del simposio greco, Laterza, Roma-Bari 1989, in particolare pp. 129-46].
Francesca Boitani, in A.M. Moretti Sgubini (a cura di), La Collezione Augusto Castellani, Roma 2000, n. 31, pp. 61-62.
Giulia Rocco, "Frammenti di un dinos", in Christoph Reusser, Martin Bürger (a cura di), Exekias hat mich gemalt und getöpfert, Catalogo della Mostra (Zurigo, Archäologischen Sammlung der Universität Zürich, 9 novembre 2018-31 marzo 2019), Zürich 2018, n. 11, pp. 215-21.
M.P. Guidobaldi, "Il dinos di Exekias della Collezione Castellani di Villa Giulia", in Simona Rafanelli (a cura di), Alalìa. La battaglia che ha cambiato la storia. Greci, Etruschi e Cartaginesi nel Mediterraneo del VI secolo a.C., Catalogo della Mostra (Vetulonia, Museo Civico Archeologico “Isidoro Falchi”, 9 giugno-3 novembre 2019), pp. 44-49.