Questo vaso (hydria), provvisto di 3 manici e utilizzato per trasportare, contenere e versare l’acqua, appartiene al corredo di una sepoltura della necropoli della Banditaccia di Cerveteri indicata nei taccuini di scavo come “Tomba I a sinistra della via Diroccata”. Il corredo è contraddistinto da una notevole concentrazione di vasi prodotti da artigiani greci provenienti dalla Ionia, l’attuale costa della Turchia nord-occidentale, e in particolare da Focea, trapiantati in Etruria e presenti a Cerveteri dopo la battaglia di Alalia o del Mare Sardo del 540 a.C., in cui si erano scontrati i Focei (Greci orientali), scacciati dalle loro terre dai Persiani di Ciro e partiti alla volta dell’Occidente, e gli Etruschi alleatisi con i Cartaginesi per non perdere il controllo del mar Tirreno.
Questi artigiani produssero per la clientela etrusca ceramiche dipinte molto ricercate fra cui le idrie ceretane, classe a cui appartiene questo vaso, e i cd. dinoi Campana, anch’essi presenti in questa tomba. Sul lato A è rappresentato l’accecamento di Polifemo (Odissea, IX, 166-542) con Odisseo che, aiutato da tre compagni, conficca nell’unico occhio del Ciclope il palo aguzzo e indurito col fuoco e lo gira “come quando uno fora un legno di nave con il trapano”. Polifemo è accasciato a terra, ebbro dopo aver bevuto 3 coppe di quel dolce e pregiato vino che Odisseo aveva avuto in dono nella terra dei Ciconi e che avrebbe dovuto essere abbondantemente allungato con acqua, ma che l’eroe astutamente gli aveva offerto puro. Nella mano destra ha ancora la coppa dalla quale ha bevuto: una coppa di tipo ionico, non a caso, perché dalla Ionia proviene l’artigiano che ha dipinto il vaso. Sul lato B compare uno degli eroi preferiti dei ceramografi delle idrie ceretane, Eracle, in procinto di colpire con una freccia avvelenata con il sangue dell’Idra, il mostro della palude di Lerna ucciso nel corso di una delle sue fatiche, il Centauro Nesso che aveva tentato di violentare la moglie Deianira anziché traghettarla sull’altra sponda del fiume Eveno, dove l’attende l’eroe.
L’insieme di questi oggetti in una tomba di un personaggio di alto rango rivela l’esistenza, a Cerveteri, di una clientela non soltanto aperta ai contatti e scambi con il mondo greco e greco-orientale, ma che acquista vasi specifici da usare nel simposio, autentica ritualizzazione del bere vino. L’hydria, infatti, nel simposio è complementare al dinos, il vaso che, al pari del cratere, contiene il vino puro che deve però essere tagliato con acqua secondo precise proporzioni prima di essere servito nelle coppe e offerto ai commensali. Ciò vuol dire che questa pratica propria dell’aristocrazia greca è stata adottata all’interno di un’aristocrazia etrusca che è in grado di recepire i messaggi veicolati dalla ceramica greca e di rifunzionalizzarli per esprimere messaggi propri e presso la quale si sono evidentemente affermate nuove forme di ostentazione del lusso.
Il racconto figurato dell’accecamento di Polifemo è anch’esso incentrato, ma in termini contrastivi, sul tema del simposio. Il Ciclope vive in una spelonca ove non vigono né i doveri dell’ospitalità né le regole del corretto uso del vino, che il proprietario della tomba per contro ben conosce e ha assimilato. Non è rappresentato come un mostro, ma il suo essere selvaggio (àgrios) è espresso dal suo trasgredire queste regole essenziali: divora i suoi “ospiti” e beve, da solo, vino puro.
M.A. Rizzo in M. Cristofani (a cura di), Civiltà degli Etruschi, Catalogo della Mostra (Firenze 1985), Electa, Milano 1985, p. 219, scheda 7.12.2;
R. Bonaudo, La culla di Hermes. Iconografia e immaginario delle hydriai ceretane, Archeologia Classica -Supplementi e Monografia, 1, 2004, Roma 2004, pp. 163-166, n. 20, p. 164 fig. 94.
F. Licordari in Ulisse. in G. Buranelli, F. Leone, F. Mazzocca, F. Paolucci, P. Refice, Ulisse. L’arte e il mito, Catalogo della mostra (Forlì, 15 febbraio-21 giugno 2020), Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2020, pp. 381-382.