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Libri Stregati 2024

Aggiustare l'universo

di Raffaella Romagnolo

Sala 14, Sezione epigrafica - copia del Fegato di Piacenza
ETRU image

Raffaella Romagnolo, Aggiustare l’universo, Mondadori

Anche Urano è un pianeta gigante, 15 volte la Terra, e a cercarlo col telescopio ha la forma di un cerchio verdazzurro. Per fare il giro completo intorno al Sole impiega 84 anni.
Come il pianeta Giove porta il nome del padre di tutti gli dei, allo stesso modo Urano si chiama così in ricordo di un’antica divinità. Urano, appunto. Il nome che gli antichi Greci davano al cielo stellato
”. (p.116)

Il passo del romanzo Aggiustare l’universo di Raffaella Romagnolo rappresenta una delle più significative e commoventi lezioni immaginarie che la maestra Gilla formula alle sue allieve nell’orfanotrofio di Borgo di Dentro alla fine della seconda guerra mondiale. La maestra Gilla riconosce negli occhi di una bambina, Francesca (Ester per la sua famiglia), la stessa tristezza e la stessa sofferenza che ha vissuto lei in prima persona quando viveva a Genova. La guerra, che tutto lacera e tutto distrugge, viene affrontata da Gilla con molta forza; nutre nel profondo la speranza di poter risistemare il proprio mondo e quello delle sue allieve.

Copia del Fegato di Piacenza (II-I sec. a.C.)

Copia del Fegato di Piacenza (II-I sec. a.C.)

Nel libro è ricorrente il tema del planetario che la maestra trova nella scuola, un planetario meccanico distrutto, con meccanismo ormai fermo, metafora della vita del secondo dopoguerra, dell’universo in cui ogni personaggio vive e che agli occhi di tutti risulta irrecuperabile. Con grande dedizione in molti passi del libro Gilla è intenta a riparare quel planetario, riportare serenità in quel meccanismo dilaniato dalla sofferenza che si inceppa se manca l’equilibrio tra i pianeti, così come nella vita dei vari personaggi; continua a fare le sue lezioni immaginarie con i racconti mitologici che legano i vari pianeti.

Il passo scelto narra di Urano che rappresenta il cielo stellato. Questo racconto dialoga con la copia del Fegato di Piacenza esposta nella sala epigrafica del Museo, il cui originale è datato II-I secolo a.C. Il modello di fegato ovino infatti è la raffigurazione dello spazio celeste che gli Etruschi suddividevano in quattro parti attraverso due rette immaginarie. Ognuno di questi spazi era suddiviso a sua volta in quattro settori, ognuno dei quali era la sede di una divinità. In questo modo il cielo era diviso in sedici “case”, corrispondenti ad altrettanti numi: quattro dèi celesti nel settore nord-est, altrettanti inferi in quello nord-ovest; nella parte a sud vi erano otto divinità della natura e terrestri.
Il fegato della vittima sacrificale diventava così una rappresentazione del macrocosmo: ogni eventuale anomalia dell’organo consentiva al sacerdote etrusco di interpretare il volere divino e ricavare auspici sul destino.

Come per gli Etruschi è dunque importante il legame tra la vita terrena e cielo, così per i personaggi del romanzo diventa indispensabile “aggiustare il proprio universo” per sopravvivere al proprio passato e sperare in un futuro migliore.

Miriam Lamonaca

 

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