C’è anche chi ritiene che il soggetto raffigurato sarebbe stato tratto da un perduto poema epico del ciclo troiano, la Palamedeia, e s’immaginava che, durante una momentanea pausa dalla guerra di Troia, Achille e Aiace si sarebbero immersi nel gioco dei dadi inventato da Palamede al punto da tralasciare il campo di battaglia, benché armati di tutto punto.
Achille e Aiace sono colti in un momento di grande umanità e di apparente distrazione dalle preoccupazioni belliche: lo scudo è appoggiato alle loro spalle, ma essi stringono le doppie lance e sono completamente armati, cosa che trasmette, in chi guarda, il senso dell’imminenza di una nuova battaglia e anche del tragico destino che è a entrambi riservato e che non trova spazio nella narrazione dell’Iliade, ma in opere posteriori: la morte di Achille colpito al tallone da una freccia di Paride, incoraggiato e diretto da Apollo, nell’Etiopide, il suicidio di Aiace nell’omonima tragedia di Sofocle.
L’interpretazione della scena più diffusa è tuttavia quella secondo la quale i due eroi sarebbero impegnati a consultare un oracolo della dea Atena (presente in molte raffigurazioni) prima di lanciarsi nuovamente nel campo di battaglia, ma non mancano quanti propendono per una lettura funeraria in cui il gioco dei dadi sarebbe un’allegoria del fato e della morte, che incombe su entrambi.
Un'interpretazione della scena in chiave cultuale potrebbe spiegare sia la popolarità del soggetto, sia la diffusione di vasi con tale soggetto in Grecia e in Etruria in santuari e in contesti funerari.