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Aiser - Un anno con gli dei Etruschi

Dicembre e il dio Selvans


Il protettore dei confini

Fig. 1, Statuetta in bronzo di Selvans da Cortona, area del Foro Boario, III secolo a.C. Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona. Credits wikimedia commons. La statuetta venne dedicata in coppia con una immagine di Culsans. Entrambe vennero dedicate per proteggere la città contro pericoli esterni

Fig. 1, Statuetta in bronzo di Selvans da Cortona, area del Foro Boario, III secolo a.C. Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona. Credits wikimedia commons. La statuetta venne dedicata in coppia con una immagine di Culsans. Entrambe vennero dedicate per proteggere la città contro pericoli esterni

Selvans, nel mese di Dicembre, chiude i nostri appuntamenti dedicati agli dei etruschi.

Il nome è lo stesso del latino Silvanus, divinità della natura selvaggia e degli animali, ma Selvans aveva un ruolo diverso. Infatti il suo nome compare su cippi che delimitavano i confini e in una iscrizione sacra viene definito “tularia” (epiteto derivato dall’etrusco “tular”, ovvero “confine”). Anche Orazio in uno dei suoi Epodi (II, 22) definiva Silvanus "tutor finium" cioè "protettore dei confini", attingendo a una tradizione etrusca.

Selvans quindi era il dio che custodiva i confini, molto importanti per gli Etruschi non solo dal punto di vista civile e amministrativo ma soprattutto da quello religioso.

Sappiamo che esistevano rituali specifici per tracciare diversi tipi di confine (come quelli delle città, di edifici speciali, di terreni pubblici e privati, la definizione dei tracciati viari, ecc) che diventavano così limiti sacri, inviolabili e immutabili. Inoltre uno dei pochissimi testi sacri etruschi giunti fino a noi, la profezia della Ninfa Vegoia* (fig. 2) ad Arrunte Veltimno, riporta il divieto assoluto di spostare i cippi che segnalavano i confini dei terreni, in quanto voluti e consacrati dal padre degli dei.

Il culto di Selvans è documentato a partire dal V secolo a.C. ma non abbiamo notizie in merito ai riti a lui dedicati.

Fig. 2, Specchio in bronzo con Menerva e Lasa Vecu (Ninfa Vegoia) da Blera, 300-280 a.C., Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma

Fig. 2, Specchio in bronzo con Menerva e Lasa Vecu (Ninfa Vegoia) da Blera, 300-280 a.C., Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma

Restano alcune preziose offerte votive in bronzo, di cui una raffigura un bambino consacrato alla divinità. Le immagini pervenute mostrano il dio (fig. 1) come un giovane nudo, con stivali e copricapo di pelle di animale selvatico, che porta in mano un attributo, a volte identificabile come un bastone ricurvo e più spesso come un falcetto (una ipotesi identifica entrambi gli oggetti come litui, i bastoni sacri con i quali gli auguri dividevano lo spazio).

 

* La profezia, tradotta in latino, risale almeno al II-I secolo a.C. ed è stata riportata più tardi nei “Gromatici Veteres”, una raccolta di testi di agrimensura (misurazione, suddivisione, e mappatura dei terreni, in particolare agricoli) compilata nel V sec. d.C., e preannuncia lo scatenarsi di gravissime calamità dovute all’ira di Giove nei confronti di coloro che osassero spostare i confini già correttamente delimitati.

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