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Etru a Casa - Vulci

Oggetto votivo a forma di piede

16 Marzo 2020


di Laura D'Erme

Dal deposito votivo di porta nord, Vulci. Oggetto votivo a forma di piede di età ellenistica, fine IV-I sec. a.C.

Dal deposito votivo di porta nord, Vulci. Oggetto votivo a forma di piede di età ellenistica, fine IV-I sec. a.C.

Fin dai tempi più antichi l'uomo ha sempre avuto bisogno di credere in qualcosa di divino, soprannaturale, magico.

Gli Etruschi e i popoli italici non erano da meno. Diversi reperti conservati nel nostro Museo raffigurano pratiche divinatorie, richiamano alla mente formule magiche e propiziatorie. I nostri antenati erano noti nell'antichità anche per le conoscenze nell'ambito della medicina...

Anche se quella descritta da Marco Terenzio Varrone (Rieti, 116 a.C. – Roma, 27 a.C.) letterato, grammatico, militare e agronomo romano, nel suo 'De re rustica', più che una pratica medica sembra un rito magico!

Ci riferisce Varrone, per guarire dal mal di piedi una frase tratta da un testo di origine etrusca, il 'De agricoltura dei Saserna', riportata, ci dice, anche da un certo Tarquenna:
 

“Terra pestem teneto - Salus hic maneto in meis pedibus” e continua spiegandoci: “hoc ter novies cantare iubet, terram tangere, despuere, ieiunium cantare”

(“La terra si prenda la malattia, la salute qui nei miei piedi rimanga” Si tratta di “cantare ciò 27 volte, toccare la terra, sputare, cantare a digiuno").

E voi, ce l'avete un vostro personale rito scaramantico?

 

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