Antefissa a testa di Acheloo, quartiere arcaico, Vigna Parrocchiale, Cerveteri, 530-520 a. C.
Tra le sale del museo non è difficile imbattersi nelle raffigurazioni di uno strano essere dalle fattezze di uomo, ma con corna e orecchie di toro: lo troviano, ad esempio, sulle antefisse che decoravano i tetti dei templi di Veio e Pyrgi, sul pendaglio di una collana della collezione Barberini, su un vaso configurato dalla stipe votiva del tempio della Mater Matuta di Satricum.
È il dio Acheloo, figlio di Oceano e di Teti, il lungo fiume dell’Etolia, padre di tutti i fiumi. Gli antichi lo mettevano in relazione non solo con le acque correnti e la loro irrigimentazione, ma anche con il mondo degli Inferi.
La sua è una storia di metamorfosi legata allo scorrere dei rivi, ora capaci di scivolare sinuosi e silenziosi come serpenti tra il verde del bosco, ora di rovinare impetuosi e violenti come tori inferociti (Ovidio, Metamorfosi, IX, v. 63: longum formatus in anguem; vv. 80-81: tauri forma trucis).