Oggi, nel giorno del 139° anniversario della scoperta, vogliamo ricordare soprattutto l’ostinata determinazione con cui Felice Barnabei mise a segno, nel 1893, uno degli acquisti più importanti per il museo da poco istituito, raccontandolo in modo avvincente nelle pagine 197-199 delle sue Memorie di un archeologo; sullo sfondo, la cd. “Guerra d’Etruria”, combattuta senza esclusione di colpi con Luigi Adriano Milani, direttore del Museo Archeologico d’Etruria di Firenze, al quale un Regio Decreto del 1889 consentiva ogni acquisto, anche extraterritoriale, di antichità etrusche.
Barnabei aveva avuto modo di vedere i frammenti del sarcofago in occasione di un sopralluogo condotto nel Palazzo Ruspoli di Cerveteri insieme a Wolfang Helbig, “famoso negoziante di antichità”, finalizzato alla divisione dei reperti fra il Principe Ruspoli e Domenico Boccanera. Ma in una stanza attigua egli intravide molti “rottami fittili” fra cui una testa femminile, di cui capì l’importanza. E fece in modo di poter rivedere di lì a poco quei frammenti, frattanto traferiti nel Palazzo Ruspoli di Roma. Non solo riconobbe anche una mezza testa maschile ma soprattutto, grazie all’esperienza che gli derivava dall’aver lavorato nella bottega del padre Tito, maiolicaro nella natia Castelli, capì che tutti i frammenti fittili sparsi erano “frutto di un solo fuoco di fornace”, ossia appartenevano a un solo manufatto, molto simile al sarcofago Campana del Museo del Louvre.
Dopo una trattativa durata quasi 12 anni, in cui lo scoglio maggiore era rappresentato proprio dal direttore del museo di Firenze, parimenti interessato all’acquisto, Barnabei riuscì alfine ad avere la meglio, offrendo 4.000 lire, “un po’ più” di quanto avesse offerto il rivale, ma soprattutto perché aveva ottenuto che il Principe Ruspoli dichiarasse che era pronto a cedere i frammenti al Ministero solo a condizione che venissero esposti in un museo governativo di Roma “e precisamente in quello di Villa Giulia”, il suo Museo.