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Aiser - Un anno con gli dei Etruschi

Maggio e il dio Tinia


Il dio della luce

Fig. 1, Statuetta votiva in bronzo di Giove che avanza col fulmine nella mano destra, produzione umbra (Maestro di Fiesole), Collezione Kircheriana, 425-400 aC., Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma

Fig. 1, Statuetta votiva in bronzo di Giove che avanza col fulmine nella mano destra, produzione umbra (Maestro di Fiesole), Collezione Kircheriana, 425-400 aC., Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma

Il dio principale dell’Etruria secondo la testimonianza di Varrone si chiamava “Vertumnus”. Ma questo nome, Voltumna in etrusco, è in realtà uno degli attributi di Tinia, padre degli dei e protettore di tutta l’Etruria.

Infatti il fanum Voltumnae, cioè il santuario di Tinia Voltumna che da pochi anni è stato ritrovato ai piedi della città di Orvieto, era considerato dagli Etruschi il santuario più importante e ogni anno i rappresentanti delle maggiori città vi si riunivano per celebrare sacrifici e feste in onore del dio.

Il nome “Tinia" (a volte scritto anche “Tina”) deriva direttamente dalla parola etrusca “tin”, che significa “giorno”, e in origine doveva identificare la divinità del giorno. Nelle raffigurazioni il dio può avere un aspetto giovanile (fig. 1), oppure è un uomo maturo ma vigoroso e con una folta barba, identico allo Zeus dei Greci e al Giove dei Romani (fig. 2 e 3). Infatti Tinia venne assimilato a Zeus e ne condivise molti attributi e caratteristiche, fra cui quella di scagliare i fulmini.

Questi fenomeni atmosferici erano considerati molto importanti nella religione etrusca, che aveva sviluppato una disciplina speciale per interpretarli.

Per gli Etruschi ogni divinità aveva il potere di scagliare fulmini, ma solo sulla porzione di cielo di propria competenza. Tinia invece non solo li inviava da qualsiasi sede celeste ma era anche in grado di “produrli” in tre diverse tipologie. I sacerdoti fulguriatores infatti avevano anche il compito di distinguere i fulmini che servivano da semplice “avvertimento” per gli uomini, quelli che “potevano sembrare un presagio favorevole ma nuocevano sempre” e quelli destinati a devastare e sconvolgere individui o addirittura interi popoli.

A Giove/Tinia spettava anche la tutela dei confini, come riporta il testo della profezia della ninfa Vegoia (IV-III secolo a.C.), a noi tramandata all’interno dei trattati latini di agrimensura (ripartizione e misurazione dei terreni agricoli).
Le testimonianze archeologiche dimostrano che il culto di Tinia era molto diffuso e a lui dovevano essere dedicate feste e sacrifici importanti in molte città etrusche, ma purtroppo, come spesso accade, non abbiamo informazioni precise sullo svolgimento dei rituali.

Alcuni altari perforati da Orvieto e Bolsena erano utilizzati per offerte liquide destinate a penetrare profondamente nel terreno, mentre una lamina di bronzo proveniente da Pyrgi ci ha forse tramandato una preghiera in versi Tinia e alla sua consorte divina.

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