Piatto di Capena, necropoli delle Macchie, tomba 233, 280-260 a.C.
Il medaglione centrale mostra un’elefantessa, seguita dal piccolo che allaccia la proboscide alla sua coda. L’elefante più grande presenta una bardatura da combattimento: sul dorso, sopra una gualdrappa, è montata, retta da cinghie che si allacciano al corpo, una torretta merlata, occupata da due arcieri pronti a colpire con armi da gittata gli avversari; sulla nuca è seduto un conduttore che pungola l’animale.
Il piatto fa riferimento, come ci confermano le fonti, a fatti storici realmente accaduti, ovvero alle campagne di Pirro in terra italica. Nel 280 a.C., i Tarentini avevano chiamato in aiuto contro i romani Pirro, re dell’Epiro, uno dei generali più famosi del tempo, che sbarcò in Lucania portando con sé mercenari e circa venti elefanti indiani, animali fino ad allora sconosciuti in occidente, che i Romani appellarono “buoi lucani”.